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      Essi fanno come l'avvocato, il quale non vede nell'avvocato della parte avversaria il rappresentante di una causa o di una opinione contraria alla sua, ma un semplice contradditore in una giostra oratoria; e quindi, se è abbastanza felice di trovare una replica, non si preoccupa di ottenere, o no, ragione. Per questo lo studio di questa base fondamentale di tutta l'economia politica, - lo studio delle condizioni più favorevoli per dare alla società la maggior somma di prodotti utili, con la minor perdita di forze umane, - non progredisce affatto. Ci si limita a ripetere dei luoghi comuni, oppure si fa silenzio.
      Ciò che rende questa leggerezza tanto più stupefacente si è che, anche nella stessa economia politica capitalistica, si trovan già alcuni scrittori portati dalla forza delle cose a mettere in dubbio questo assioma dei fondatori della loro scienza, assioma secondo il quale la minaccia della fame sarebbe il miglior stimolo dell'uomo per il lavoro produttivo. Essi cominciano ad avvedersi che nella produzione entra un certo elemento collettivo, troppo trascurato sino ai giorni nostri, il quale potrebbe essere molto più importante della prospettiva di un guadagno personale. La qualità inferiore del lavoro salariato, la perdita spaventosa di forza umana nei lavori dell'agricoltura e della industria moderne, la quantità sempre crescente degli oziosi i quali cercano di sbarazzarsi sempre di ogni lavoro necessario sulle spalle degli altri, la mancanza, sempre più manifesta, di un certo slancio nella produzione, tutto ciò comincia a preoccupare persino gli economisti della scuola «classica». Alcuni di loro domandano se non hanno sbagliato strada, ragionando sopra un essere immaginario, concepito pessimisticamente, che si supponeva guidato esclusivamente dall'allettamento del guadagno o del salario.


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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna
1948 pagine 282