Noi comprendiamo, che tutti non abbiano che un sogno, che un'aspirazione: quella di uscire o di far uscire i loro figli da questa condizione inferiore: di crearsi una situazione «indipendente» - cioè, che cosa? - di vivere anche essi, alla lor volta, del lavoro altrui.
Finchè vi sarà una classe di lavoratori del braccio e un'altra classe di «lavoratori del pensiero» - le mani nere e le mani bianche - accadrà sempre così.
Quale interesse, infatti, può avere questo lavoro accasciante, da bruti, per l'operaio il quale conosce anticipatamente il suo destino, di essere condannato a vivere, dalla culla alla tomba, nella mediocrità, nella povertà, nell'incertezza del domani? Così, quando si vede l'immensa maggioranza degli uomini riprendere, ad ogni mattino, il loro triste mestiere, si rimane sorpresi del loro attaccamento al lavoro, dell'abitudine presa, la quale permette loro, come una macchina obbediente ciecamente all'impulso datole, di condur questa vita di miseria, senza speranza del domani, senza nemmeno travedere in vaghi bagliori che un giorno essi, o almeno i loro figli, faranno parte di questa umanità, ricca finalmente di tutti i tesori della libera natura, di tutti i godimenti del sapere e della creazione scientifica ed artistica, riservata oggi a pochi privilegiati.
Noi vogliamo abolire il salariato, precisamente per metter fine a questa separazione tra il lavoro del pensiero e il lavoro manuale. Il lavoro allora non apparirà più come una maledizione del destino, ma diventerà ciò che dev'essere: il libero esercizio di «tutte» le facoltà dell'uomo.
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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