Si sciupano sforzi, in una parola, alla ricerca dell'introvabile, ma si è costretti di riconoscere che si percorre falsa strada, e la fiducia in un governo rappresentativo se ne va sparendo.
Lo stesso accade per il salariato: imperocchè, dopo aver proclamato l'abolizione della proprietà privata e il possesso in comune degli strumenti di lavoro, come si può reclamare, sotto una forma o sotto un'altra, il mantenimento del salariato? Eppur questo fanno i collettivisti, preconizzando i «buoni di lavoro».
Si capisce come i socialisti inglesi del principio di questo secolo abbiano inventato i «buoni di lavoro». Essi cercavano semplicemente di mettere d'accordo il Capitale e il Lavoro, respingendo ogni idea di colpir violentemente la proprietà capitalistica.
Si comprende ancora come, più tardi, Proudhon abbia di nuovo ricorso a quest'invenzione. Nel suo sistema mutualista egli cercava di rendere il Capitale meno offensivo, malgrado il mantenimento della proprietà individuale, che egli detestava dal fondo del cuore, ma che credeva necessaria come garanzia in favore dell'individuo contro lo Stato.
E nessuno si stupisce nemmeno che sianvi economisti più o meno borghesi, i quali ammettono i buoni di lavoro. Poco loro importa che il lavoratore sia pagato in buoni di lavoro o in moneta con l'effige della Repubblica o dell'Impero. Essi tengono a salvare nel prossimo sfacelo la proprietà individuale delle case abitate, del suolo, delle officine, e, in ogni caso, quella delle case abitate e del Capitale necessario alla produzione manifatturiera.
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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