L'umanità doveva essere divisa in officine nazionali, aventi ciascuna la propria specialità. La Russia - ci s'insegnava - è destinata dalla natura a coltivare il grano; l'Inghilterra a fabbricar le cotonine; il Belgio a fabbricar stoffe, mentre che la Svizzera ci fornisce d'istitutrici e di nutrici. In ogni nazione si specializzerebbe ancora: Lione, fabbrica sete; Anversa, merletti; e Parigi, articoli di fantasia. Gli economisti pretendevano che ciò fosse un campo illimitato offerto alla produzione nello stesso tempo che al consumo; un'éra di lavoro e di immensa fortuna dischiusasi per il mondo.
Ma queste vaste speranze svaniscono a mano a mano che il sapere tecnico si spande nell'universo. Finchè l'Inghilterra era sola a fabbricar cotonine e a lavorare i metalli su vasta scala, finchè Parigi soltanto produceva gingilli artistici, ecc., tutto andava bene; potevasi predicare ciò che chiamasi la divisione del lavoro senza tema di essere smentiti.
Ora, ecco che una nuova corrente trascina le nazioni civili a tentare in casa loro ogni genere d'industrie, trovando vantaggioso a fabbricare esse stesse ciò che ricevevano una volta da altri paesi, e le stesse colonie tendono a emanciparsi dalla metropoli. Le scoperte della scienza rendendo universali i metodi, è inutile d'ora innanzi di pagare all'estero a un prezzo esorbitante ciò che è così facile di produrre all'interno.
Ma questa rivoluzione nell'industria non infligge un colpo fatale alla teoria della divisione del lavoro che si credeva così solidamente stabilita?
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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