Potremmo anche menzionare i rapidi progressi della Spagna sulla via della grande industria. Ma consideriamo piuttosto il Brasile. Non l'avevano gli economisti condannato a coltivare eternamene il cotone, ad esportarlo allo stato grezzo, e a riceverne in compenso cotonine importate dall'Europa? E veramente, venti anni fa, il Brasile non contava che nove miserabili piccole manifatture di cotone, con 385 fusi. Oggi ne conta invece quarantasei, di cui cinque soltanto possiedono 40.000 fusi, e riversano ogni anno sul mercato trenta milioni di metri di cotonina.
Perfino il Messico si è dato alla fabbricazione delle cotonine, invece d'importarle dall'Europa. Gli Stati Uniti poi si sono completamente emancipati dalla tutela europea: la grande industria si è in essi trionfalmente sviluppata.
Spettava però alle Indie d'infliggere la più clamorosa smentita ai partigiani della specializzazione delle industrie nazionali.
La teoria che proclama la necessità per le grandi nazioni europee di posseder colonie è conosciutissima. Queste colonie debbono inviare alla metropoli i loro prodotti grezzi: fibra cotonifera, lana appena tosata, droghe, ecc. E la madre patria rimanderà loro questi prodotti dopo averli «manifatturati», cioè stoffe bruciate, ferri vecchi sotto forma di macchine disusate - in breve, tutto ciò di cui essa non ha bisogno, che le costa poco o nulla, ma che non venderà meno per questo ad un prezzo eccessivo.
Questa era la teoria; e tale fu per lungo tempo la pratica che ad essa si uniformò. Mentre si rovinavano le Indie, a Londra e a Manchester si accumulavano patrimoni alle loro spese.
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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