Solo che vi rechiate al museo indiano, a Londra, e vi scorgerete ricchezze folli, inaudite, ammucchiate a Calcutta ed a Bombay dai negozianti inglesi. Ma altri negozianti ed altri capitalisti, egualmente inglesi, concepirono l'idea naturalissima che sarebbe molto più abile lo sfruttare gli abitanti delle Indie in modo diretto, e di fabbricare quelle cotonine alle Indie stesse, invece d'importarne in Inghilterra annualmente per cinque o seicento milioni di lire.
In sul principio non fu che una serie d'insuccessi. I tessitori indiani - artisti del loro telaio - non potevano adattarsi al regime dell'officina. Le macchine inviate da Liverpool erano cattive; bisognava inoltre tener conto del clima, abituarsi a nuove condizioni, che oggi sono tutte eliminate; di modo che l'India inglese diventa una rivale sempre più minacciosa delle manifatture della metropoli.
Oggi essa possiede 80 manifatture di cotone, le quali impiegano già quasi 60.000 lavoratori, e nei 1835 avevano fabbricato più di 1.450.000 tonnellate metriche di cotonine. Ed ogni anno essa esporta in China, alle Indie Olandesi e in Africa, - per quasi 100 milioni di lire, - di quei medesimi cotoni bianchi, che dicevasi essere la specialità dell'Inghilterra. E nel mentre che i lavoratori inglesi rimangono disoccupati e cadono nella più dura miseria, le donne indiane pagate a 60 centesimi al giorno, fabbricano a macchina le cotonine che si vendono nei porti dell'estremo Oriente.
In breve, non è lontano il giorno - e gl'industriali intelligenti non se lo dissimulano, - in cui non si saprà più che fare delle braccia che prima in Inghilterra erano impiegate nella fabbricazione delle cotonine da esportare.
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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