Questa ammissione tacita è la base di tutte le teorie, di tutte le pretese «leggi» insegnate dagli economisti.
Eppure è certo che non appena un'agglomerazione civilizzata qualunque si domandasse quali sono i bisogni universali ed i mezzi di soddisfarli, si accorgerebbe che essa possiede già, sia nell'industria che nell'agricoltura, di che provvedere largamente a tutti i suoi bisogni a condizione di saper applicare questi mezzi alla soddisfazione di bisogni reali.
Che ciò sia vero per l'industria, è un fatto incontestabile. Basta infatti studiare nei grandi stabilimenti industriali i processi già in uso per estrarre il carbone ed i minerali, ottener l'acciaio e foggiarlo, fabbricare ciò che occorre per i vestiti, ecc., e si constaterà che in ciò che concerne i prodotti delle nostre manifatture, delle nostre officine, delle nostre miniere, non è possibile il menomo dubbio in proposito. Si potrebbe fin d'ora quadruplicare la nostra produzione, ed economizzare anche sul nostro lavoro.
Ma noi andiamo più in là. Ciò che diciamo per l'industria lo affermiamo anche per l'agricoltura: il coltivatore, al pari del manifatturiere, «possiede già» i mezzi per quadruplicare, se non per elevare al decuplo, la sua produzione; ed egli potrà farlo appena ne sentirà il bisogno, e procederà all'organizzazione sociale del lavoro in luogo e vece dell'organizzazione capitalista.
Ogni volta che si parla d'agricoltura, si rappresenta il contadino curvo sull'aratro, spargendo a caso nel terreno un seme male scelto ed aspettando con angoscia ciò che la stagione, propizia o sfavorevole, gli frutterà. S'immagina una famiglia che lavora da mane a sera, senza avere altra ricompensa che un giaciglio, del pane secco ed una acidula bevanda.
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La conquista del pane
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria internazionale d'avanguardia Bologna 1948
pagine 282 |
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