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La teoria di Darwin ebbe la sorte di tutte le teorie che trattano dei rapporti umani. Invece di svilupparla secondo gli indirizzi a lei propri, i suoi continuatori la restrinsero vieppiù. E mentre Herbert Spencer, partendo da osservazioni indipendenti, ma molto analoghe, tentava allargare la discussione mettendo innanzi questo grande problema: «Quali sono i più adatti?» (in modo particolare nell'appendice della 3a ed. dei Principî di Etica), gli innumerevoli continuatori di Darwin riducevano la nozione della lotta per l'esistenza al suo più ristretto significato. Essi giunsero a concepire il mondo animale come un mondo di eterna lotta fra individui affamati, assetati di sangue. E fecero risonare la letteratura moderna del grido di guerra Guai ai vinti,35 come se fosse quella l'ultima parola della biologia moderna. E, per degli interessi personali, elevarono la «lotta senza pietà» all'altezza di un principio biologico, al quale l'uomo deve sottomettersi sotto pena di soccombere in un mondo fondato sul reciproco sterminio.
Lasciando da parte gli economisti, che non sanno delle scienze naturali che qualche parola presa a prestito dai volgarizzatori di seconda mano, bisogna che riconosciamo che anche i più autorevoli interpreti di Darwin fecero del loro meglio per mantenere queste idee false. Infatti, se prendiamo Huxley, che è considerato come uno dei migliori interpreti della teoria dell'evoluzione, ci insegna, nel suo articolo «Struggle for Existence and its Bearing upon Man», che: «giudicato dal punto di vista morale, il mondo animale è presso a poco al livello di un combattimento di gladiatori.
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