Per uno spirito avvezzo all'idea dell'unità nella natura, una tale affermazione sembra assolutamente insostenibile. Tuttavia vi sono sempre stati degli scrittori che ànno giudicato con pessimismo il genere umano. Essi lo conoscono più o meno superficialmente nei limiti della loro esperienza; essi sanno della storia ciò che dicono gli annalisti. Sempre attenti alle guerre, alle crudeltà, all'oppressione, ne concludono che l'uman genere non è che un fluttuante aggregato di individui, sempre pronti a battersi l'un l'altro e trattenuti dal far questo unicamente per l'intervento di qualche autorità.
Questo fu l'atteggiamento che assunse l'Hobbes, e mentre alcuni dei suoi successori del secolo XVIII si sforzavano di provare che in nessuna epoca della sua esistenza, neppure nella sua più primitiva condizione, l'uomo à vissuto in uno stato di continua guerra, e che è stato socievole anche allo «stato di natura», e che fu l'ignoranza, piuttosto che le cattive tendenze sue naturali, a spingere il genere umano agli orrori delle prime epoche storiche, la scuola di Hobbes affermava, al contrario, che il preteso «stato di natura» non era altro che una guerra permanente tra individui accidentalmente riuniti a casaccio per il semplice capriccio della loro bestiale esistenza.
È vero che la scienza à fatto progressi dopo Hobbes e che abbiamo per ragionare su questo soggetto delle basi più sicure di quello che fossero le speculazioni dell'Hobbes e del Rousseau. Ma la filosofia dell'Hobbes à tuttavia ancora numerosi ammiratori; ed abbiamo avuto ultimamente tutta una scuola di scrittori i quali, applicando la terminologia di Darwin ben più che le sue idee fondamentali, ne ànno tratto argomenti in favore delle opinioni di Hobbes su l'uomo primitivo e sono anche riusciti a dare ad esse apparenza scientifica.
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