Questo orribile costume è stato ampiamente descritto in un'opera inglese moderna.147 Sembra d'altronde che quest'asserzione sia molto esagerata. Per di più, la «caccia alle teste» dei Daiachi prende tutt'altro aspetto quando si sa che il preteso cacciatore di teste non è spinto affatto da passione personale. Se cerca di uccidere un uomo, lo fa per ubbidire a ciò che considera obbligo morale verso la tribù, esattamente come il giudice europeo che, per ubbidienza allo stesso principio, evidentemente falso, «del sangue per il sangue», consegna l'assassino al carnefice. Tutti e due, il Daiaco ed il giudice, proverebbero del rimorso se qualche simpatia li movesse a risparmiare l'assassino. Quando si metta da parte gli assassinî che commettono per sodisfare il loro concetto di giustizia, i Daiachi sono dipinti da quanti li conoscono come un popolo molto simpatico. Così Carlo Bock, lo stesso autore che à fatto una sì terribile descrizione della caccia alle teste, scrive:
«Per ciò che si riferisce alla moralità, mi abbisogna assegnare ai Daiachi un gradino elevato nella scala della civiltà..., il brigantaggio ed il furto sono affatto sconosciuti fra essi. Sono anche molto veritieri... Se non s'otteneva sempre da essi «tutta» la verità, almeno ciò che si otteneva era sempre la verità. Vorrei poter dire altrettanto dei Malesi» (pag. 209 e 210).
La testimonianza del Bock è pienamente confermata da quella di Ida Pfeiffer. «Riconosco pienamente, scrive, che mi piacerebbe viaggiare più a lungo tra essi.
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