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      Lo Sclerurus, benchè abiti nelle foreste più cupe e possieda degli artigli molto ricurvi, non cerca mai il suo nutrimento sugli alberi, ma esclusivamente sul terreno, tra le foglie morte; e, ciò che sembra abbastanza bizzarro, quando è spaventato, vola verso un tronco dell'albero più vicino, vi si attacca in una posizione verticale e resta senza muoversi, silenzioso, sfuggendo agli sguardi in grazia del suo colore scuro». In quanto alle abitudini di nidificare, esse variano molto. Così, in un solo genere, tre specie costruiscono un nido d'argilla in forma di forno, una quarta lo fa con ramicelli sugli alberi, una quinta si scava un buco sul pendio d'una ripa, come il martin pescatore.
      Ora, questa immensa famiglia, della quale Hudson dice che «essa occupa tutta l'America del sud; poichè non c'è clima, nè suolo, nè vegetazione dove non se ne trovi qualche specie adatta, questa famiglia appartiene - per adoperare le sue parole - agli uccelli i più privi di armi naturali». Come le anitre rammentate dallo Sièvertoff (vedere il testo), essi non posseggono nè artigli, nè becco potente: «essi sono esseri timorosi, senza resistenza, senza forza, e senz'armi; i loro movimenti sono meno vivaci e meno vigorosi di quelli d'altra specie, ed il loro volo è debole». Ma essi possiedono - osservano l'Hudson e l'Asara - «disposizioni sociali in un grado eminente», benchè «le abitudini sociali siano contrastate in essi dalle condizioni di una vita che loro rende necessaria la solitudine». Non possono riunirsi in grandi associazioni per covare, come fanno gli uccelli di mare, perchè si nutrono degli insetti degli alberi ed è loro necessario esplorare separatamente ogni albero, il che fanno con grande cura, ciascuno per sè; ma di continuo si chiamano gli uni gli altri nei boschi «conversando insieme a grandi distanze»; e si associano per formare degli «stormi viaggiatori» che sono molto bene conosciuti per le pittoresche descrizioni del Bates.


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Il mutuo appoggio fattore dell'evoluzione
di Petr Alekseevic Kropotkin
Libreria Internazionale di Avanguardia Bologna
1950 pagine 350

   





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