Parlerassi ancora nel tempio di Minerva del nostro stemma. Io sarei per verità molto insolente di volere smentire così i nostri libri, e devastare in tal modo le terre de' nostri poeti. Ma per ritornare colà, donde io non so come ha tanto deviato, spezzando il filo del mio assunto, v'è egli mai stato tempo, nel quale i tiranni, per viemmeglio assicurarsi nella tirannide, non abbiano proccurato di assuefare il popolo non solo all'ubbidienza, non solo alla schiavitiù, ma fin anche all'adorazione per loro?
Quanto è detto fin quì, circa all'avvezzar gli uomini a servir di buon grado, non è d'altro uso ai tiranni se non pel minuto, e grossolano popolo: ma ora ne vengo a quel punto, ch'è, a parer mio, il gran segreto, la prima molla della dominazione, e la base, ed il sostegno della tirannide. Colui, che s'avvisa, che le alabarde delle guardie, e la vigilanza delle sentinelle custodiscano i tiranni, a creder mio, si inganna a partito. Eglino se ne prevalgono, s'io mal non mi appongo, più per la formalità, e per un vano spauracchio, che per vera fiducia, ch'essi vi mettano. Gli arcieri impediscono l'ingresso del palagio agli scioperati privi d'ogni mezzo, ma non già agli uomini ben muniti, e ben armati, che sono in grado di tentare qualche grande intrapresa. E per verità è facile il noverare fra i Romani imperadori quanti più sieno periti per le mani delle lor guardie, di quelli che si sottrassero al periglio pel soccorso de' loro arcieri. Non sono gli squadroni di cavalleria, non i battaglioni di fanti, non le armi, che difendono i tiranni: ma (ciò che sembrerà incredibile a prima vista, e che non è pero men vero) sono sempre quattro o cinque privati, che sostengono il tiranno, quattro, o cinque, che gli rendono schiava un'intera nazione.
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Minerva Romani
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