Il problema consiste in questo: che la nostra dottrina dia occasione ad una nuova critica delle fonti storiche. Né intendo di dire esclusivamente della critica dei documenti, nel senso proprio ed ovvio della parola; perché, quanto a questa, possiamo nella più parte contentarci ce la somministrino bella e fatta i critici, gli eruditi e i filologi di professione. Ma anzi intendo di dire di quella fonte immediata, che sta più in là dai documenti propriamente detti, e che prima di esprimersi e di fissarsi in questi, consiste nell'animo e nella forma di consapevolezza, nella quale gli operatori resero conto a sé dei motivi dell'opera loro propria. Cotesto animo, ossia cotesta consapevolezza, è spesso incongrua alle cause che noi ora siamo in grado di scovrire e di fissare; in guisa che gli operatori ci appaiono come involti in un circolo di illusioni. Spogliare i fatti storici di tali involucri, che i fatti stessi investono mentre essi si svolgono, gli è fare una nuova critica delle fonti, nel senso realistico della parola, e non in quello formale del documento: gli è, insomma, far reagire sulla notizia delle condizioni passate la consapevolezza di cui noi ora siamo capaci, per poi ricostruire quelle nuovamente dal fondo.
Ma cotesta revisione delle fonti direttissime, mentre segna l'estremo limite di autocoscienza storica cui si possa mai giungere, può essere occasione a cadere in un grave errore. Perché, come noi ci collochiamo in un punto di vista, che sta di là dalle vedute ideologiche, per virtù delle quali gli attori della storia ebbero coscienza dell'opera loro, e nelle quali trovarono assai spesso e i moventi e la giustificazione all'operare, noi potremmo incorrere nella erronea opinione, che quelle vedute ideologiche fossero una pura parvenza, un semplice artifizio, una mera illusione, nel senso volgare di questa parola.
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