Martino Lutero, per venire ad un esempio, come gli altri grandi riformatori suoi contemporanei, non seppe mai, come ora sappiamo noi, che il moto della Riforma fosse uno stadio del divenire del terzo stato, e una ribellione economica della nazionalità tedesca contro lo sfruttamento della corte papale. Egli fu quello che fu, come agitatore e come politico, perché fu tutt'uno con la credenza che gli facea apprendere il moto di classi, che dava impulso all'agitazione, quale ritorno al vero cristianesimo, e come una divina necessità nel corso volgare delle cose. Lo studio degli effetti a scadenza non breve, e cioè il corroborarsi della borghesia di città contro i signori feudali, e il crescere della signoria territoriale dei principii a spese del potere interterritoriale e sopraterritoriale dell'imperatore e del papa, la violenta repressione del movimento dei contadini e di quello più esplicitamente proletario degli Anabattisti, ci permettono ora di rifare la storia genuina delle cause economiche della Riforma; specie in quanto riuscì, il che è la riprova massima. Ma ciò non vuol dire, che a noi sia dato di distrarre il fatto accaduto dal modo del suo accadimento, e di discioglierne la integralità circonstanziale per via di una analisi postuma, che riesca affatto soggettiva e semplicistica. Le cause intime, o, come si direbbe ora, i motivi profani e prosaici della Riforma ci appariscono più chiari in Francia ove essa per l'appunto non riuscì vittoriosa; e chiari ancora nei Paesi Bassi, ove, oltre alle differenze di nazionalità, vengono in piena evidenza nella lotta con la Spagna i contrasti degli interessi economici; e chiarissime infine in Inghilterra, dove la rinnovazione religiosa, verificatasi per le vie della violenza politica, mette in piena luce il trapasso in quelle condizioni, che sono per la borghesia moderna i prodromi del capitalismo.
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