Per quali ragioni la storia si presentasse in esclusiva veste politica gli è, dunque, oramai palese.
Ma non per questo lo stato è una semplice escrescenza, o un puro accessorio, o del corpo sociale, o della libera associazione; come è parso a tanti utopisti, e a tanti ultraliberali anarchizzanti. Se la società ha messo capo, in fino ad ora, nello stato, gli è perché di tale complemento di forza e di autorità essa ha avuto bisogno, in quanto è appunto di disuguali, per effetto delle differenziazioni economiche. Lo stato è ben qualcosa di assai reale, come sistema di forze, che mantengono l'equilibrio, o lo impongono con la violenza e con la repressione. E per esistere come tale sistema di forze è dovuto divenire ed essere una potenza economica; poggi questa nella razzia, nella preda, nella imposizione di guerra, o consista nella diretta proprietà di demanio, o si formi di volta in volta, come nel metodo moderno della pubblica finanza, che assume le simulate forme costituzionali di una pretesa autotassazione. In cotesta potenza economica, di tanto cresciuta, negli stati moderni, consiste il fondamento della sua capacità ad operare. Da essa deriva, che, per via di una nuova division del lavoro, intorno alle funzioni dello stato stesso si formino ordini e ceti speciali, ossia classi particolarissime, non esclusa quella dei parassiti.
Lo stato, che è e deve essere potenza economica, perché a difesa delle classi dirigenti sia fornito di mezzi per reprimere, per governare, per amministrare, per guerreggiare, crea per diretto o per indiretto un insieme d'interessi nuovi e particolari, i quali reagiscono necessariamente su la società. Cosicché lo stato, nell'atto che è sorto e si mantiene comc garante delle antitesi sociali, che sono conseguenza delle differenziazioni economiche, forma intorno a sé una cerchia d'interessati direttamente all'esistenza sua.
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