Per tali ragioni le vicende storiche, viste alla superficie della monotona narrazione ordinaria, paiono come la ripetizione assai poco variata del medesimo tipo, come una specie di ritornello, o di configurazione da caleidoscopio. Non è da maravigliare che il concettualista Herbart e il maligno pessimista Schopenhauer venissero nella conclusione, che di storia come vero processo non ce n'è: il che, in volgare, si direbbe così: la storia è una canzone noiosa!
Ridotta la storia politica alla sua quintessenza, lo stato rimane chiarito in tutta la sua prosa, in cui non è più traccia, né di teologica transumanazione, né di quella metafisica transustanziazione, che ebbe tanta voga presso certi filosofi tedeschi: p. e. lo stato che è l'Idea, lo stato Idea che si esplica nella storia, lo stato che è l'attuazione piena della personalità, ed altrettali pappolate. Lo stato è un reale ordinamento di difese per garentire e perpetuare un metodo di convivenza, il cui fondamento è, o una forma di produzione economica, o un accordo ed una transazione fra diverse forme. A farla più breve, lo stato suppone, o un sistema di proprietà, o l'accordo tra più sistemi di proprietà. In ciò è il fondamento d'ogni sua arte, al cui esercizio occorre, che lo stato stesso divenga una potenza economica, e che abbia anche i mezzi e i modi per far passare la proprietà dalle mani degli uni nelle mani degli altri. Quando, per effetto di una rinnovazione acuta e violenta delle forme della produzione, occorre di provvedere ad un insolito e straordinario spostamento dei rapporti della proprietà (p. e. abolizione della manomorta e del feudo, abolizione dei monopolii commerciali), allora la vecchia forma politica è insufficiente, e la rivoluzione è necessaria per creare il nuovo organo che esegua la trasformazione economica.
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