Innanzi a questo genere di realistiche considerazioni, cadono tutte le ideologie fondate su la missione etica dello stato, o sopra qualunque altra frase simile. Lo stato è, per così dire, messo al suo posto, e rimane come inquadrato nei contorni del divenire sociale, in quanto forma che è effetto di altre condizioni, e che a sua volta, poi che esiste, reagisce naturalmente sul resto.
E qui spunta un'altra questione.
Cotesta forma sarà superata mai? - ossia, ci può essere una società senza stato? - ovvero, ci può essere una società senza classi? - e, se giova di spiegarsi meglio, ci sarà una forma di produzione comunistica, con tale spartizione di lavoro e di ufficii, che non possa dar luogo allo sviluppo delle disuguaglianze, da cui si genera il dominio dell'uomo su l'uomo?
Nella risposta affermativa a coteste domande consiste la somma del socialismo scientifico; in quanto esso enuncia l'avvento della produzione comunistica, non come postulato di critica, né come meta di una volontaria elezione, ma come il resultato dell'immanente processo della storia.
Come è risaputo, la premessa di tale previsione è nelle condizioni stesse della presente produzione capitalistica. Questa socializza di continuo il modo del produrre, avvince sempre di più il lavoro vivo e regolamentato alle condizioni obiettive della tecnica, concentra di giorno in giorno sempre più la proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di pochi, che come azionisti e negoziatori di azioni si trovano sempre più assenti dal lavoro immediato, la cui direzione passa all'intelligenza.
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