A tale genere di escogitazioni appartiene la così detta coscienza morale, che fu assunta a presupposto delle condizionate valutazioni etiche. La coscienza morale, che realmente esiste, è un fatto empirico; è un indice, ossia un riassunto, della relativa formazione etica di ciascun individuo. Se scienza qui ci ha da essere, essa non può spiegare le relazioni etiche per via della coscienza, ma deve appunto intendere come tale coscienza si vada formando.
Se i voleri derivano, e se la morale resulta dalle condizioni della vita, l'etica, nel suo insieme, non è che una formazione; ossia il suo problema si risolve in quello della pedagogica.
C'è una pedagogica, direi individualistica e soggettiva, la quale, supposte le condizioni generiche della perfettibilità umana, costruisce delle regole astratte, per mezzo delle quali gli uomini, che sono in via di formazione, sarebbero condotti ad essere forti, coraggiosi, veritieri, giusti, benevoli, e così via per tutta la distesa delle virtù cardinali e secondarie. Ma può essa, la pedagogica soggettiva, costruire da sé il terreno sociale sul quale tutte coteste belle cose avrebbero a realizzarsi? Se lo costruisce, essa disegna semplicemente un'utopia.
Perché davvero il genere umano, nel rigido corso del suo divenire, non ebbe mai tempo e modo di andare a scuola da Platone o da Owen, da Pestalozzi o da Herbart. Anzi ha fatto come gli è stato forza di fare. Gli uomini, che presi in astratto son tutti educabili e perfettibili, si son perfezionati ed educati sempre quel tanto, e nella misura che essi potevano, date le condizioni di vita in cui è stato loro necessità di svolgersi.
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Platone Owen Pestalozzi Herbart
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