Perché, a volere che giustizia ci sia e si faccia, occorre loro di appellarsi alla violenza; e perché l'amore del prossimo, come legge universale, paia loro plausibile, devono essi immaginare una vita assai difforme dalla presente, che fa dell'odio una necessità, come di debito da scontare. In questa società delle differenziazioni, l'odio, l'orgoglio, la ipocrisia, la menzogna, la viltà, l'ingiustizia, e tutto il catechismo dei vizi cardinali e loro accessorii, fanno da triste riscontro, e anzi da satira, alla morale eguale per tutti.
Dunque l'etica si risolve a un certo punto nello studio storico delle condizioni soggettive ed oggettive del come la morale si sviluppi, o trovi impedimento a svilupparsi. In ciò solo, ossia entro questi termini, ha valore l'enunciato, che la morale è corrispettiva alle situazioni sociali, e ossia, in ultima analisi, alle condizioni economiche. A qualche cretino soltanto può esser passato per il capo di dire, che la morale individua di ciascun uomo sia rigorosamente proporzionale alla sua individua situazione economica. Ciò è non solo empiricamente falso, ma è intrinsecamente irrazionale. Data la elasticità del meccanismo psichico, non è possibile mai di ridurre lo sviluppo dei singoli individui esclusivamente al tipo della classe o dello stato sociale. Qui si tratta dei fenomeni di massa; di quei fenomeni che formano, o dovrebbero formare, l'oggetto della statistica morale: disciplina cotesta che è rimasta fin ad ora incompleta, perché ha assunto ad oggetto delle sue combinazioni i gruppi che essa stessa crea, sommando i numeri dei casi (p. e. adulterii, furti, omicidii), e non quei gruppi che come classi, condizioni e situazioni realmente, ossia socialmente, esistono.
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