Di quelli, che, tanto per non parere antiquati, parlano di filosofia scientifica, - se non si vuol tenere, in un certo conto la punta umoristica di cotesta espressione, che respinge ogni forma di teologia e di mero tradizionalismo, - bisogna dire che sarebbero dei fatui, se credessero di rappresentare una scuola od una tendenza a parte.
Dicevo qui poco innanzi, nell'enunciar delle formule, che la struttura economica determina in secondo luogo l'indirizzo, e in buona parte e per indiretto gli obietti della fantasia e del pensiero, nella produzione dell'arte, della religione e della scienza. A dire altrimenti di così, ed oltre di così, sarebbe come mettersi volontariamente su la via dell'assurdo.
Innanzitutto con tale enunciato si combatte il fantastico assunto ideologico, che arte, religione e scienza siano svolgimenti subiettivi e svolgimenti storici di un preteso spirito artistico, religioso, o scientifico, il quale s'andrebbe manifestando successivamente per un proprio ritmo di evoluzione, qua e là sussidiato o impedito dalle condizioni materiali. Con tale enunciato si vuole affermare, inoltre, la necessaria connessione, per la quale ogni fatto dell'arte e della religione è l'esponente sentimentale, fantastico, e ossia derivato, di determinate condizioni sociali. Se dico in secondo luogo, gli è per distinguere questi prodotti dai fatti di ordinamento giuridico-politico, che sono vera e propria obiettivazione dei rapporti economici. E se dico in buona parte e per indiretto degli obietti di tali attività, gli è per indicare due cose: e cioè, che nella produzione artistica e religiosa la mediazione dalle condizioni ai prodotti è assai complicata, e poi che gli uomini, pur vivendo in società, non cessano per ciò solo di vivere anche nella natura, e di ricevere da questa occasione e materia alla curiosità ed al fantasticare.
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