Né sarebbe fuori d'ogni probabilità il ridurre, fin da ora, sotto il determinato e preciso angolo visuale del materialismo tutta la storia romana antica. In questa, e specie nel periodo primitivo, fanno difetto le fonti dirette, le quali per converso son tanto abbondanti in Grecia, dalla tradizione popolare e dall'epos, e dall'autentica iscrizione giuridica, fino alla trattazione prammatica delle connessioni storico-sociali. Ma in Roma, invece, le lotte pei diritti politici recano in sé quasi sempre le ragioni economiche su cui poggiano; dal che poi procede, che il deperire di determinate classi, e il formarsi di nuove classi, e il moto della conquista, e il cambiar delle leggi e delle forme dell'apparato politico, tornino tanto evidenti. Cotesta storia romana è dura e prosaica; né si veste mai di quei complementi ideologici che furon proprii della vita greca. La prosa rigida della conquista, della studiata colonizzazione, delle istituzioni e delle forme di diritto, escogitate e trovate per risolvere determinati attriti e contrasti, fa della storia romana una catena di accadimenti, che si seguono con singolare e cruda evidenza.
Perché il problema vero è questo: che, cioè, non si tratta già di sostituire la sociologia alla storia, come se questa fosse stata una apparenza, che celi dietro di sé una realtà riposta; ma anzi si tratta di intendere integralmente la storia, in tutte le sue intuitive manifestazioni, e d'intenderla per mezzo della sociologia economica. Non si tratta già di separare l'accidente dalla sostanza, la parvenza dalla realtà, il fenomeno dal nocciolo intrinseco, o come altro si direbbe dai seguaci di qualunque altro scolasticismo; ma, anzi, di spiegare l'intreccio ed il complesso, per l'appunto in quanto è intreccio e complesso.
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