In fatti, se si pon mente alle premesse, o intuitive, o intellettuali, dalle quali deriva la concezione del progresso, come di quella idea che contenga ed abbracci la totalità del processo umano, si vede che cotali presupposti poggian tutti sul bisogno mentale, che è in noi, di attribuire alla serie, o alle serie degli accadimenti, un certo senso ed una certa significazione. Il concetto di progresso, per chi lo esamini bene addentro nella sua natura specifica, implica sempre dei giudizi di valutazione; e, per ciò, non è chi possa confonderlo con la nozione nuda e cruda del semplice sviluppo, il quale non include punto quell'incremento di pregio, per cui noi di una cosa diciamo che essa progredisca.
Dissi già qui innanzi, e, mi pare, con sufficiente estensione, come il progresso non istia a guisa di imperativo o di comando sul succedersi naturale ed immediato delle umane generazioni. Ciò è tanto intuitivo, per quanto è intuitiva la coesistenza attuale di popoli, nazioni e stati, che trovansi, in uno e medesimo tempo, in diverso stadio di sviluppo; per quanto è innegabile la presente condizione di relativa e di rispettiva superiorità ed inferiorità di popolo a popolo; e per quanto è, da ultimo, accertato il regresso parziale e relativo avveratosi più volte nella storia, come ne stette per secoli a documento l'Italia. Anzi, se c'è mai prova stringente, del come il progresso non sia da intendere nel senso di una legge immediata, e, dirò così per rincalzare, di una legge fisica o fatale, gli è appunto questa, che lo sviluppo sociale, per le stesse ragioni di processo che gli sono immanenti, mise spesso capo nel regresso.
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