Gli è d'altra parte chiaro ed accertato, che così la facoltà del progredire, come la possibilità di far regresso, non costituiscono, alla prima, né immediato privilegio, né ingenito difetto di razza; né sono dirette emanazioni delle condizioni geografiche. Perché non solo i primitivi centri di civiltà furon molteplici, e non solo cotali centri si spostarono nel corso dei secoli, ma sta anche il fatto, che i mezzi, i trovati, i resultati e gl'impulsi di una determinata civiltà, che siasi già svolta, sono, entro certi limiti, comunicabili a tutti gli uomini in indefinito. Ossia, a farla breve, progresso e regresso sono inerenti alle condizioni ed al ritmo dello sviluppo sociale in genere.
Ora, dunque, la fede nella universalità del progresso, che apparve con tanto impeto nel secolo decimottavo, ha in questo primo addentellato positivo; che, cioè, gli uomini, quando non trovino impedimenti nelle condizioni esterne, e non ne trovino in quelle che derivano dalla loro propria opera nell'ambito sociale, sono tutti capaci di progredire.
E poi in fondo alla supposta, o immaginata, o creduta unità della storia, per la quale il processo delle varie società formerebbe come una sola serie di progresso, sta un altro fatto, che ha offerto motivo ed occasione a tante fantasticherie ideologiche. Se non tutti i popoli son progrediti egualmente, e anzi alcuni, o si arrestarono, o corsero la via del regresso, se il processo di sviluppo sociale non ebbe sempre, in ogni luogo ed in ogni tempo, il medesimo ritmo e la medesima intensità, gli è pur nondimeno sicuro il fatto, che, nel passaggio dell'azione decisiva da popolo a popolo nel corso della storia, i prodotti utili, già acquisiti da quelli che decadevano, passarono a quelli che divenivano e salivano.
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