Lascia ben volentieri ad altri di occuparsi del socialismo in quanto è tendenza (a uso A. Menger) alle riforme giuridiche; dichiara di non immischiarsi direttamente nelle questioni della Economia (nella qual disciplina invero pare a me che zoppichi da ambo le gambe), e ci tiene a mettere soprattutto in evidenza la filosofia di Marx, la quale esiste, tuttoché non sia espressa in opere di tassativa composizione ad hoc; e studia in tutte le 600 pagine la crisi in quanto essa è strettamente "scientifica e filosofica" (p. 5). Non chiedete, dunque, all'autore, né un esame concreto delle condizioni attuali del mondo economico fatto dal vivo, né un consiglio pratico e largo di politica sociale. Se il movimento della proletarizzazione continui o no, se la teoria del valore sia o no esatta, queste e le altre questioni affini, per quanto della massima importanza, non interessano lui filosofo (p. 4). Il resultato pratico è solo questo, di consigliare ai socialisti (p. 591) di tenersi al programma dell'Engels del 1895, cioè dire alla tattica parlamentare; il che veramente essi vanno facendo da per tutto nel mondo, e, secondo il debole avviso mio, per la semplice ragione, che non potrebbero fare altrimenti senza addimostrarsi, o pazzi, o stolidi. Se non che il Masaryk rincalza il consiglio con questo monito, che si debba anche abbandonare l'ideologia marxista! A buon conto, non è il corso naturale delle vicende politiche dell'Europa civile che abbia indotto i socialisti a cambiare di tattica (né l'autore saprebbe dirci quanto tempo questa nuova durerà, o potrà durare), ma son le idee che cambiano e devono cambiare.
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