Può darsi che dei socialisti correnti al comodo argomentare vedan troppo semplificato l'intreccio della storia, riducendo questa in breve volume; il che li induce a semplificar del pari con soverchio arbitrio l'intreccio della società presente. Né certo giova di richiamarsi di continuo alla negazione della negazione, che non è istrumento di ricerca, ma è solo formula riassuntiva, valida, se mai, post factum. Certo che il comunismo, ossia il più o meno lontano approdo della società presente verso una nuova forma della produzione, non sarà un parto mentale della dialettica subiettiva. E perciò credo - son cortese di armi agli avversarii - non esserci che un solo modo di combattere seriamente il socialismo, ed è quello di provarsi a dimostrare come il sistema capitalistico abbia in sé - per ora almeno - tale indefinita forza di adattabilità, che tutti i movimenti proletarii si riducano in fondo a meteoriche agitazioni, senza mai formare un processo ascensivo, che importi da ultimo, con la eliminazione del salariato, anche quella di ogni dominio di classe. In cotesto intento critico-dimostrativo si riassume, per es., la forza della scuola del Brentano e i suoi seguaci. Ma questo non pare sia pane pei denti del signor Masaryk, il quale rivela tutta la sua inettitudine ad afferrare il nesso economico della materia che ha per le mani, proprio nel capitolo che dedica alla critica del sopravvalore (pp. 250-313).
Attraverso ad una rassegna bibliografica intorno alla vexata quaestio del divario fondamentale che correrebbe tra il I e il III volume del Capitale, l'A. viene a rigettare come inesatta la dottrina del valore-lavoro, e poi giù giù ad affermare, come Marx non potesse partire dal concetto della utilità, perché il suo obiettivismo estremo lo rendeva alieno dalla considerazione psicologica (!). Dichiara poi la sua opinione sul posto che l'economia dovrebbe occupare nel sistema delle scienze, data la dipendenza sua dai presupposti di una sociologia generale.
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