Passando, dunque, sopra a tutti i complimenti, intendo di rifarmi su le cose che voi dite in quella Prefazione; e di tornarci su per discuterne liberamente, senza star proprio ad aver lì innanzi alla mente il disegno o il prospetto di una meditata monografia. Scelgo la forma delle lettere, perché solo in queste un procedere interrotto, spezzato e a volte saltuario, che ritragga quasi quasi la conversazione, non par cosa impropria ed incongrua. Non me la sentirei, in verità, di scrivere tante dissertazioni, memorie od articoli, quanti ne occorrerebbe per rispondere alle molte domande che voi movete, alle molte questioni che voi ponete a voi stesso, in così breve giro di pagine, come chi dubitando e dubbiosamente pensi.
Scrivendo, direi quasi, come vien viene, non intendo però di sottrarmi alle responsabilità di ciò che mi verrà di dire, e andrò dicendo; ma voglio come prosciogliermi dai doveri di prosa serrata e legata, che son proprii del discorrere e del dissertare a tesi. Oramai non c'è dottorucolo al mondo, il quale, per minuscolo che ei si sia, non creda di monumentarsi innanzi ai presenti e innanzi ai posteri, ove riesca a consacrare in pesante opuscolo, o in dotta ed involuta disquisizione, uno di quei tanti pensieri o di quelle tante osservazioni, che nella viva conversazione, o nell'insegnamento che sia retto da indubbia virtuosità didattica, tornan sempre di più intuitiva efficacia, per la naturale dialettica, che è propria di chi sia in atto di cercare da sé, o d'insinuare per la prima volta negli altri, la verità.
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Prefazione
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