Gli è da assai poco tempo, che alla immaginazione mitologica degli autori della storia s'è andata sostituendo, e fino ad ora in modi non sempre precisi, la nozione prosaica del processo storico-sociale. La Rivoluzione Francese non l'han voluta e fatta, secondo le varie versioni della inventiva letteraria, i varii santi della leggenda liberalesca; e santi di destra, e santi di sinistra, santi girondini e santi giacobini? Tanto è, che il signor Taine - del quale non ho mai capito come, con la poca rassegnazione che mostra alla cruda necessità dei fatti, si dica che ei fosse un positivista - ha potuto spendere una parte non piccola del suo poderoso ingegno a dimostrate, come chi scrivesse l'errata-corrige della storia, che tutta quella bagarre potea anche non accadere. Per buona fortuna loro, la più parte di cotesti vostri santi paesani si onorarono e si coronarono a vicenda, e a tempo debito, del dovuto martirio; ond'è che le regole della classicità tragica rimasero per essi gloriosamente intatte: - se no, chi sa quanti imitatori di Saint-Just (uomo sommo per davvero) non sarebbero finiti fra i manutengoli del turpe Fouché, e quanti complici di Danton (un grande uomo di stato mancato) non avrebbero contesa al Cambacérès la cancelleresca livrea, quando altri molti non si fossero contentati di disputare all'avventuroso Drouet, e a quel bieco commediante del Tallien, i modesti galloni del sottoprefetto.
Insomma, affannarsi ad occupare i primi posti è cosa di rito e di prammatica per tutti quelli, che, avendo imparato la storia di vecchio stile, s'accordano ancora con quel retore di Cicerone nel proclamarla maestra della vita.
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