Chi confronti ora, alla distanza di cinquanta anni, la trattazione di coteste antinomie concrete nel III volume del Capitale con la Misère de la philosophie, è bene in grado di riconoscere in che consista il filo dialettico della trattazione. Le antinomie, che Proudhon volea astrattamente risolvere (e per tale errore egli ha un posto nella storia) come ciò che la ragion ragionante condanna in nome della giustizia, sono in fatti le condizioni della struttura stessa, in guisa che la contraddizione è nella stessa ragion d'essere del processo. L'irrazionale considerato come un momento del processo stesso, mentre ci libera dal semplicismo della ragione astratta, ci mostra, al tempo medesimo, la presenza della negatività rivoluzionaria nello stesso grembo della forma storica relativamente necessaria.
Comunque sia di cotesta assai grave ed intricatissima questione di concezione processuale, che io non oserei di trattare a fondo come l'incidente di una lettera, sta il fatto, che non è dato ad alcuno di distrarre le premesse, gli andamenti metodici, le illazioni e le conclusioni di quell'opera, dalla materia in cui si svolge e dalle condizioni di fatto cui si riferisce, per ridurne la dottrina in una specie di volgata o di precettistica per la interpretazione della storia di qualunque tempo e luogo. Né si può dar frase più scipita e ridicola di quella che proclama il Capitale la Bibbia del socialismo. Già, la Bibbia, che è un insieme di libri religiosi e di trattazioni teologiche, l'hanno fatta i secoli!
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