Dunque, tendenza al monismo, ma al tempo stesso coscienza precisa della specialità della ricerca. Tendenza a fondere scienza e filosofia, ma, medesimamente, continuata riflessione su la portata e sul valore di quelle forme del pensiero, che usiamo in concreto, e che pur possiamo distaccar dal concreto, come accade nella logica stricto jure, e nella teoria generale della conoscenza (che voi chiamate metafisica). Pensare in concreto, e pur poter riflettete in astratto su i dati e su le condizioni della pensabilità. La filosofia c'è e non c'è(26). Per chi non c'è ancora arrivato, essa è come il di là dalla scienza. E per chi c'è arrivato, essa è la scienza condotta a perfezione.
Oggi, come in passato, noi possiamo scrivere, su i dati astratti da una determinata esperienza, dei trattati per es., di etica o di politica, e possiamo dare alla trattazione tutta la perspicuità del sistema: purché ci ricordiamo di questo, che le premesse cioè si ricollegano geneticamente ad altro; purché non cadiamo nella illusione (metafisica) di considerare i principii come degli schemi ab aeterno, ossia come le sopraccose delle cose dell'esperienza.
A questo punto nulla c'impedisce di enunciare una formula come la seguente: tutto il conoscibile può essere conosciuto; e tutto il conoscibile sarà, all'infinito, realmente conosciuto; e di là dal conoscibile, a noi, nel campo della conoscenza, non importa nulla di null'altro. Questo generico enunciato, nel suo aspetto pratico, si riduce a dire: che la conoscenza tanto importa per quanto ci è dato di realmente conoscere, e che è una mera fantasticheria l'ammettere, che la mente riconosca, come esistente in atto un'assoluta differenza tra il limitato conoscibile e ciò che è per sé inconoscibile: - un inconoscibile, che io dichiaro di conoscere come inconoscibile!
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