In cotesto prosaico assunto si risolve quell'assolutezza della conoscenza, che era per gli idealisti un postulato di ragione, o una argomentazione ontologica(27). Quella tal cosa (così detta in sé), che non si conosce, né oggi, né domani, che non si conoscerà mai, e che pur si sa di non poter conoscere, non può appartenere al campo della conoscenza, perché non si dà conoscenza dell'inconoscibile. Se un simile assunto entra nella cerchia della filosofia, gli è perché la coscienza del filosofo non è tutta fatta di scienza, ma consta ancora di tanti altri elementi sentimentali ed affettivi, da cui, sotto l'impulso della paura, e per tramite della fantasia e del mito, si generano combinazioni psichiche, le quali, come in passato impedirono lo sviluppo della cognizione razionale, così ora adombrano il campo del sapere meditato e prosaico. Pensiamo alla morte. Essa è teoricamente insita alla vita. La morte, che pare così tragica negli individui complessi, che alla comune intuizione appariscono come i veri e proprii organismi, è immanente agli elementi primissimi della sostanza organica, per la estrema labilità e per la circoscritta plasticità del protoplasma. Ma tutt'altro è la paura della morte - ossia l'egoismo del vivere! E così è di tutte le altre affettività e tendenze passionali, che, nelle loro derivazioni mitiche, poetiche e religiose, gettarono, gettano e getteranno in varia proporzione le ombre loro sul campo della coscienza. La filosofia dell'uomo puramente teoretico che tutte le cose contempli sotto l'aspetto del proprio esser loro, gli è come il tentativo di far passare il pensiero astratto su tutto il campo della coscienza, senza che v'incontri, né deviazioni, né attriti.
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