E che dice Engels di Morgan? - "aver questi novellamente scoverto il materialismo storico, nella assoluta ignoranza di quanto Marx ne avesse scritto"; e quale fu l'occasione del libro? - il desiderio di mettere a profitto le note e le glosse lasciate da Marx!
Via, la volgare cronologia è qualcosa di assai importante... anche pei socialisti.
E torniamo pure all'inevitabile Spencer. Chi è mai, che, fuori d'Italia, si sia permesso di aggiudicarlo al socialismo? È forse lo Spencer un filosofo dell'altro mondo? Di lui e sopra di lui si può leggere ora in tutte le lingue, non esclusa quella dell'ammodernato Giappone. Né pecca di oscurità: anzi agli occhi miei, che amo la succosa brevità, pecca di prolissa e di minuziosa popolarità. Il primo scritto di lui che si conosca reca la data del 1843. Eravamo, si noti bene, nel più forte dell'agitazione cartista. Quello scritto s'intitola: Della sfera propria dello stato. Spencer fu alle viste di tutto il mondo come ammirato collaboratore dell'"Economist", della "Westminster" e della "Edinburg Review"; e notiamo nuovamente le date, precisamente negli anni significativi dal 1848 al '59. Chi mai si è fatto illusioni in Inghilterra sul senso e sul valore delle sue vedute sociali e politiche? La Statica sociale apparve nel '51, la Psicologia (l° ediz.) nel '55, il Trattato sulla educazione nel '61, la l° edizione dei Primi principii nel '62, la Classificazione delle scienze nel '64, la Biologia dal '64 al '67, per non dire dei minori Saggi, e tra questi notevolissimi l'Ipotesi dello sviluppo (1852), la Genesi della scienza (1854), e il Progresso e la sua legge (1857). E qui chiudo la filastrocca per arrestarmi alle pubblicazioni che precedono il I° volume del Capitale (25 luglio 1867). Non occorreva invero il genio di Marx per scorgere in tali scritti ciò che ero in grado di scorgervi io, da semplice studioso della filosofia, già 30 anni fa: che, cioè, la dottrina dell'evoluzione che vi si enuncia è schematica e non empirica, che quella evoluzione lì è fenomenale e non reale, e che essa ha di dietro lo spettro della cosa in sé di Kant, dapprima onorata in tutte lettere col nome di Dio o della Divinità (Statica, ediz. del 1851), più tardi circonlocuita nel riverito nome dell'Inconoscibile.
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