A ciò fare erasi preparato con dieci anni di novella educazione nelle scienze naturali, e candidamente confessava: esser lui in queste più addentro di Marx, che alla sua volta era forte in matematica. E nemmeno ciò basta. Nella prima edizione del Capitale si trova una nota caratteristica e originalissima sul nuovo mondo scoperto da Darwin. S'intende già che quei due modesti mortali, che non fecero mai le parti di sopracciò dell'Universo, inteso sempre di riferirsi a quel prosaico darwinismo della Origine della specie (1859), che è un gruppo di teorie tratte da un gruppo di osservazioni e di esperienze sopra un campo circoscritto della realtà, che rimane più in qua dalle origini della vita e precede d'un buon tratto la storia umana. In quelle teorie non poteano non iscorgere un caso analogico con la concezione epigenetica della storia, che essi aveano in parte definita, in parte adombrata appena(36). Non seppero però mai di quel darwinismo, il quale ha scoperto le leggi della intera umanità (De Bella); di quel darwinismo, insomma, buono per tutto, che è una gratuita invenzione dei pubblicisti a corto di scienza, e dei decadenti della filosofia. L'amico loro Heine non avea forse detto: l'Universo è pieno di buchi, e il professore tedesco hegeliano covre quei buchi col suo berretto da notte?
E lasciando stare l'Universo e i suoi buchi, procuriamo, caro Turati, di fare ciascuno il dover nostro. Mi ricorre sempre per la mente questa grave invettiva che 30 anni fa pronunziava l'hegeliano B. Spaventa: "Qui da noi si studia la storia della filosofia nella geografia dell'Ariosto, e si citano alla pari, Platone e l'abate Fornari, Torquato Tasso e Totonno Tasso"(37).
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