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      Solo in una società comunistica, il lavoro, oltre che non sfruttabile, può essere razionalmente misurato. Solo nella società comunistica, il calcolo edonistico, non intralciato dallo sfruttamento privato delle forze sociali, può aver carattere di cosa precisabile. Rimossi gl'impedimenti al libero sviluppo di ciascuno, quegli impedimenti, cioè, che differenziano ora le classi e gl'individui fino al non riconoscibile, ciascuno potrà trovare, nella misura di ciò che occorre alla società, il criterio di ciò che per lui è il fattibile e il necessario a fare. Adattarsi al fattibile, e non per esterna costrizione, in ciò sta la norma della libertà, che è una cosa sola con la saviezza; perché non ci può esser morale vera là dove non è la coscienza del determinismo. In una società comunistica cadono da per sé le antitetiche parvenze dell'ottimo e del pessimo, perché la necessità del lavorare in servizio della collettività e l'esercizio della piena autonomia personale non formano più antitesi, anzi appariscono come una e medesima cosa; - l'etica di cotesta società annulla la opposizione fra diritti e doveri, che non è, in sostanza, se non l'amplificazione dottrinale della condizione di questa antitetica società presente, nella quale alcuni han facoltà d'imporre ed altri hanno obbligo di prestare; - in cotesta società, in cui la benevolenza non è carità, non parrebbe utopistico il chiedere, che ciascuno presti secondo le sue forze, e ciascuno riceva secondo i suoi bisogni; - in simile società la pedagogica preventiva eliminerebbe, in buona parte, la materia della penalità, e la pedagogica obiettiva della convivenza e della collaborazione razionale ridurrebbe al minimo il bisogno della repressione; - ossia, in una parola, la pena apparirebbe come la semplice garanzia di un determinato ordinamento, e spoglia perciò del tutto d'ogni parvenza metaforica di superna giustizia da vendicare o da ristabilire.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183