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      Quel Gregorio Magno, che par già così persuaso, che il vescovo di Roma fosse destinato a tener le parti del tramontato Impero dell'Occidente, quel Gregorio, noto al comune delle persone colte per le sue visioni, per il suo amore della musica e per l'apostolato nell'Anglia, da economo dettò le leggi della condotta del latifondo ecclesiastico. A parecchi secoli di distanza, per tutte le traversie dei semistati e delle varie comunità semi-politiche, che si andaron sviluppando entro l'ambito dal sempre mal fermo e mal restaurato Impero d'Occidente, la estesissima proprietà ecclesiastica, da per tutto diffusa e da per ogni dove incuneata, dette luogo a tentare quella politica, che, da Gregorio VII a Bonifacio VIII, mirò a fare del successore di Pietro l'erede di Augusto. Questa politica non fu tale qual fu, perché i frati clunacensi ne avessero escogitata la dottrina, o perché com'è di fatti, Gregorio VII ed Innocenzo III fossero uomini sommi, ma perché solo in quel vasto sistema economico c'erano i dati per tentare un gran disegno di organizzazione; al quale, come è noto, si ribellarono in diversi modi, non solo gli altri semipotentati politici d'allora, ma in alcuni punti di più progredita operosità industriale e commerciale (Fiandra, Provenza, Italia del nord) con diversi intendimenti, o di cenobitica ascesi o di civile libertà cristiana, anche una parte delle plebi e delle recenti borghesie. E difatti l'umiliazione inflitta a Bonifacio VIII in Anagni, non è se non il punto acuto di quella politica di Filippo il Bello, che, da precursore molto alla lontana del principato rivoluzionario del secolo XVI, mette per il primo arditamente la mano su la sostanza del popolo cristiano.


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Discorrendo di socialismo e di filosofia
di Antonio Labriola
pagine 183

   





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