L'Italia è diventata - ed è ben naturale, - negli ultimi anni, la terra promessa dei decadenti, dei megalomani, dei critici a vuoto, degli scettici per fastidio e per posa. Alla parte sana e verace del movimento socialistico (al quale non è dato per ora dalle circostanze altro ufficio da quello in fuori di preparare la educazione democratica del popolo minuto) si mescolano, di conseguenza, parecchi, i quali, se volessero mettersi la mano su la coscienza, avrebbero da confessare, che essi son decadenti, e che li sospinge a dimenarsi, non la fattiva volontà del vivere, ma l'indistinto fastidio del presente: - essi, leopardiani annoiati!
Devo finalmente finire; ma mi pare mi arrivi all'orecchio come una leggiera voce di protesta da parte di quei compagni, che son così pronti ad obiettare; e che quella voce dica: coteste son sofisticherie da dottrinarii, e noi abbiam bisogno di pratica. Sicuro, d'accordo, avete ragione. Il socialismo è stato per così lungo tempo utopistico, progettistico, estemporaneo e visionario, che è bene ora di dire e di ripetere ogni momento, che ci occorre la pratica; perché gli animi di quelli che lo professano sian rivolti di continuo a misurare le resistenze del mondo effettuale, e a studiar di continuo il terreno, sul quale ci è imposto di aprirci la non facile né morbida via. Badi però il mio ipotetico critico di non far proprio lui la parte del dottrinario; la qual parola, per chi se ne intenda, designa una certa disposizione delle menti, viziate dall'astrazione, a ritenere, che le idee proclamate per sé eccellenti, e i frutti delle esperienze raccolte in determinati tempi e luoghi, sian cose da applicare difilato al concreto, e inoltre buone per ogni tempo e luogo.
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