teorico di una quasi-utopia. E poi (p. 4): "Marx assunse, fuori del campo della pura teorica economica, una proposizione, che è la famigerata eguaglianza di valore e lavoro". E di dove dunque l'ha presa? forse (secondo alcuni) c'è arrivato "spingendo alle estreme conseguenze un concetto poco felice di Ricardo". Il quale Ricardo bisognerebbe espellerlo a dirittura dalla storia della scienza, perché qualcos'altro di più felice non l'ha veramente fatto. In un certo punto il Croce (p. 20, in nota) se la piglia col Pantaleoni, perché questi "combatte il Böhm Bawerk, domandandosi donde il mutuatario del capitale riesca a prendere di che pagare l'interesse". Di fatti il Pantaleoni (Principii di economia politica, p. 301) dice: "la causa generativa dell'interesse sta nella produttività del capitale come bene complementare in un processo tecnico vantaggioso, richiedente un certo tempo, e non nella virtù del tempo, che lascerebbe le cose come le ha trovate". Qui, e per tutto un capitolo, il Pantaleoni, con l'andamento del ragionare che è proprio al suo indirizzo, ripiglia a modo suo quella spiegazione dell'interesse per via della produttività del (danaro-) capitale, che, uscita vittoriosa già nel secolo XVII dalle polemiche coi moralisti e coi canonisti, apparisce nella sua formola elementarmente economica per la prima volta in Barbon e Massey. Quella spiegazione è la sola che l'economista possa enunciare, fino a che la produttività del capitale, che prima facie pare evidente, non è fatta essa stessa oggetto di una critica; la qual cosa ha menato poi Marx alla formola più generale e al principio genetico del sopravvalore.
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