In quello stesso capitolo Pantaleoni abilmente polemizza contro il Böhm, che, come direbbe il Croce "dà la spiegazione (economica) del profitto del capitale, come nascente dal grado diverso di utilità dei beni presenti e dei beni futuri"(49).
Ma volete forse per vostro passatempo mettere in iscena una farsetta ideologica concepita così: - si assume da una parte la legittima aspettazione del creditore, e dall'altra parte la onesta promessa del debitore; - questi due attributi psicologici, che tanto fanno onore alla eccellenza dell'animo loro, vengon messi nella dovuta evidenza; poi si suppone, che debitore o creditore siano homines oeconomici tanto perfetti, quanto è necessario di tener per fermo che siano, dal momento che nacquero coi diagrammi del Gossen stampati nel cervello(50); - poi si aggiunge la nozione del tempo astratto; - e, costituita la santa trinità di aspettazione, promessa e tempo, si attribuisce a questa trinità la virtù di trasmutarsi in quel più di valore, che deve essere poniamo, per es., nelle scarpe prodotte col denaro mutuato, perché il mutuante, in ultimo, e guadagnando pur lui qualcosa, se nel frattempo non vuol morir di fame, solvat debitum cum usura. Ma questa è proprio la scienza messa alla gogna. In verità il tempo non è nella economia, come non è nella natura, se non la misura di un processo: ed è nell'economia la misura del processo della produzione e della circolazione (ossia, in ultima analisi, e data la debita analisi, del lavoro). E solo in quanto esso entra nell'economia per questo rispetto, il tempo è anche misura dell'interesse.
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