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      Oramai è opinione popolare, che il socialismo moderno sia un normale e perciò inevitabile portato della storia attuale. La sua azione politica, che ammette, sì, d'ora innanzi indugi e ritardi, ma non più riassorbimento totale e annichilimento, cominciò decisamente con la Internazionale. Più indietro però di questa sta il Manifesto. La sua dottrina è innanzi tutto la luce teorica portata sul movimento proletario; il quale, del resto, s'era generato e continua a generarsi indipendentemente dall'azione di ogni dottrina. E poi è più che questa luce. Il comunismo critico non sorge se non nel momento in cui il moto proletario, oltre ad essere un resultato delle condizioni sociali, ha già tanta forza in sé da intendere, che queste condizioni sono mutabili, e da intravvedere con quali mezzi e in che senso possano essere mutate. Non bastava che il socialismo fosse un resultato della storia; ma bisognava inoltre intendere come fosse intrinsecamente cotale resultato, e a che cosa menasse l'agitazione sua. L'enunciazione di tale consapevolezza, che cioè il proletariato, come resultato necessario della società moderna, ha in sé la missione di succedere alla borghesia, e di succederle come forza produttrice di un nuovo ordine di convivenza, in cui le antitesi di classe dovranno sparire, fa del Manifesto un momento caratteristico del corso generale della storia. Esso è una rivelazione, ma non già come apocalissi o promessa di millennio. È la rivelazione scientifica e meditata del cammino che percorre la nostra società civile (che l'ombra di Fourier mi sia benigna); la quale rivelazione, pei modi come è espressa, assume la parola decisiva e direi fulminea di chi enuncia nel fatto la necessità del fatto stesso.


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In memoria del Manifesto dei comunisti
di Antonio Labriola
1895 pagine 79

   





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