Cotesta concezione storica, elevando a teoria quel bisogno della nuova rivoluzione sociale, che era più o meno esplicito nella coscienza istintiva del proletariato, e nei suoi moti passionati e subitanei, nell'atto che riconosceva la intrinseca e immanente necessità della rivoluzione, di questa stessa cambiava il concetto. Ciò che era parso possibile alle sètte dei cospiratori, come cosa che possa volersi a disegno e predisporsi a volontà, diventava un processo da favorire, da sorreggere e da secondare. La rivoluzione diventava l'obietto di una politica, le cui condizioni son date dalla situazione complessa della società: cioè un resultato, al quale il proletariato deve giungere, attraverso lotte varie e mezzi varii di organizzazione, non ancora escogitati dalla vecchia tattica delle rivolte. E ciò perché il proletariato non è un accessorio, un amminicolo, una escrescenza, un male eliminabile di questa società in cui viviamo; ma è il suo sostrato, la sua condizione essenziale, il suo effetto inevitabile, e, alla sua volta, la causa che conserva e mantiene in essere la società stessa: onde non può emanciparsi, se non emancipando tutto e tutti, ossia rivoluzionando integralmente la forma della produzione.
Come la Lega dei Giusti era diventata Lega dei comunisti, spogliandosi delle forme simboliche e cospiratorie, e volgendosi verso i mezzi della propaganda e dell'azione politica a grado a grado, e qualche tempo in qua da che l'insurrezione di Barbès e Blanqui fu fallita (1839), così la dottrina nuova, che la Lega stessa accettava e faceva sua, superò definitivamente le idee che guidavano l'azione cospiratoria, e convertì in termine e resultato obiettivo di un processo ciò che i cospiratori pensavano stesse alla punta di un loro disegno, o potesse essere l'emanazione e l'efflusso del loro eroismo.
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