Il saintsimonismo s'era già dileguato quando il Manifesto apparve. Il foutierismo invece fioriva in Francia, e, per l'indole sua, non come partito, ma come scuola. Quando la scuola tentò di giungere all'utopia mediante la legge, i proletarii parigini erano già stati battuti nelle giornate di Giugno da quella borghesia, che, battendoli, preparò a se stessa il dominio di un sommo ed insigne avventuriero, durato poi venti anni.
Non come voce di una scuola, ma come promessa, minaccia e volontà di un partito, veniva alla luce la nuova dottrina dei comunisti critici. I suoi autori e seguaci non viveano di fantasia del futuro, ma con animo tutto intento alla esperienza e alle necessità del presente. Viveano della coscienza dei proletarii, cui l'istinto, non sorretto ancora dalla esperienza, spingeva a rovesciare a Parigi e in Inghilterra il dominio della borghesia, con rapidità di mosse non dirette da una tattica studiata. Quei comunisti diffusero in Germania le idee rivoluzionarie, furono i difensori delle vittime di Giugno, ed ebbero nella "Neue Rheinische Zeitung" un organo politico, che ora, alla distanza di tanti anni, per fino nei brani che qua e là ne vengon riprodotti, fa scuola2. Cessate le contingenze storiche, che nel 1848 spinsero i proletarii sul davanti della scena politica, la dottrina del Manifesto non trovò più, né base, né terreno di diffusione. Ha aspettato degli anni a diffondersi; perché sono occorsi degli anni avanti che il proletariato potesse riapparire, per altre vie e con altri modi, su la scena come forza politica, e fare di quella dottrina il suo organo intellettuale, e trovare in essa i mezzi di orientazione.
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