Ma non c'è forse in tutto ciò, dicono insistentemente alcuni, come uno sviarsi dalla dottrina semplice e imperativa del Manifesto? Quello che si è guadagnato in estensione o complessità, ripetono altri, non si è forse perduto in intensità e in precisione?
Coteste domande nascono, a mio avviso, da un erroneo concetto del presente movimento proletario, e da una illusione ottica circa il grado di energia e circa il valore rivoluzionario delle manifestazioni di molti anni fa.
Qualunque concessione la borghesia faccia nell'ordine economico, fino alla massima riduzione delle ore di lavoro, riman sempre vero il fatto, che la necessità dello sfruttamento, su cui poggia tutto l'ordine sociale presente, ha limiti insormontabili, oltre dei quali il capitale come privato istrumento di produzione non ha più la sua ragion d'essere. Se una determinata concessione può oggi sedare una immediata forma di inquietezza nel proletariato, la concessione stessa non può a meno di destare il desiderio di altre, e nuove, e sempre crescenti. Il bisogno della legislazione operaia, nato in Inghilterra in anticipazione del movimento cartista e sviluppatosi poi con esso, ottenne i suoi primi successi nel periodo di tempo immediatamente posteriore alla caduta del cartismo stesso. I principii e le ragioni di tale movimento furono, nell'intrinseco delle cause e degli effetti, studiati criticamente da Marx nel Capitale, e poi passarono attraverso la Internazionale nei programmi dei partiti socialistici. Ed ecco che da ultimo tutto cotesto processo, concentratosi nella domanda delle otto ore, è diventato nella festa del I° maggio una rassegna internazionale del proletariato, e un modo di raccoglier gl'indici dei progressi di esso.
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