La ribellione delle forze produttive contro la forma della produzione, ossia la lotta del lavoro vivo contro il lavoro accumulato, si fa ogni giorno più palese. Il sistema borghese è oramai su le difese, e rivela lo stato e la posizione sua in questa singolare contraddizione, che, cioè, il pacifico mondo della industria è diventato un immane accampamento, entro del quale vegeta il militarismo. L'epoca dell'industria pacifica è diventata, per l'ironia delle cose, l'epoca del continuo ritrovamento di nuovi e più potenti mezzi di guerra e di distruzione.
Il socialismo s'è imposto. Per fino i semisocialisti, per fino i ciarlatani che ingombrano di sé la stampa e le assemblee dei nostri partiti, non sempre senza imbarazzo nostro, sono un omaggio che le vanità e le ambizioni di ogni maniera rendono a modo loro alla nuova potenza che sorge all'orizzonte. Malgrado il divieto anticipato del socialismo scientifico, che non è dato a tutti d'intendere, pullulano e si moltiplicano ogni istante i farmacisti della questione sociale, che han tutti qualcosa di particolare da suggerire o da proporre, per curare od eliminare questo o quel malanno sociale; - nazionalizzazione del suolo; monopolio dei grani da parte dello stato; statificazione delle ipoteche; municipalizzazione dei mezzi di trasporto; finanza democratica; sciopero generale; - e così via, da non finirla mai! Ma la democrazia sociale elimina tutte coteste fantasie, perché l'istinto della propria situazione induce i proletarii, appena si addestrino nell'arena politica, ad intendere il socialismo in modo integrale1. A intendere, cioè, che ad una cosa sola essi devono soprattutto mirare: all'abolizione, cioè, del salariato: che una sola forma di società è quella che rende possibile, e anzi necessaria, la eliminazione delle classi: e cioè l'associazione che non produce merci; e che tal forma di società non è più lo stato, anzi è il suo opposto, ossia il reggimento tecnico e pedagogico della convivenza umana, il selfgovernment del lavoro.
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