O la cooperativa, che degeneri in impresa, o si venda a un potente. O il partito operaio non politico, che studia fra le altre cose le contingenze del mercato, per introdurre la tattica degli scioperi nelle sinuosità della concorrenza. O da ultimo l'accozzaglia dei malcontenti, per la più parte spostati e piccoli borghesi, che speculano sul socialismo come su di una fra le tante altre frasi della moda politica. Tutti questi ed attrettali impedimenti la democrazia sociale s'è trovato fra i piedi sul suo cammino, e dovette più volte, come deve tuttora di quando in quando, sbarazzarsene. Né sempre valse l'arte della persuasione. Il più delle volte convenne e conviene rassegnarsi, e aspettare che gli illusi traessero o traggano dalla dura scuola del disinganno l'ammaestramento, che non sempre si riceve volentieri per via dei ragionamenti.
Coteste intrinseche difficoltà del movimento proletario, che la scaltra borghesia può spesso fomentare, e difatti sfrutta, formano una non piccola parte della storia interna del socialismo di questi ultimi anni.
Il socialismo non trovò impedimenti al suo sviluppo soltanto nelle condizioni generali della concorrenza economica, e nella resistenza dell'apparato politico; ma anche nelle condizioni stesse della massa proletaria, e nella meccanica non sempre chiara, per quanto inevitabile, dei suoi movimenti lenti, vani, complessi, spesso antagonistici e contraddittorii. E ciò oscura agli occhi di molti la cresciuta ed acuita semplificazione di tutte le lotte di classe, nell'unica lotta tra capitalisti e lavoratori proletarizzati1.
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