Riporre nelle classi e nei loro attriti il subietto reale della storia, e il moto di questa nel moto di quelle, ecco ciò che si andava cercando e scovrendo: e di ciò bisognava fissare in termini la precisa teoria.
L'uomo ha fatto la sua storia, non per metaforica evoluzione, né per correr su la linea di un presegnato progresso. L'ha fatta, creandone a se stesso le condizioni; cioè, formando a se stesso, mediante il lavoro, un ambiente artificiale, e sviluppando successivamente le attitudini tecniche, e accumulando e trasformando i prodotti della operosità sua, per entro a tale ambiente. Noi di storia ne abbiamo una sola: né quella reale, che è effettivamente accaduta, possiamo noi confrontare con un'altra meramente possibile. Dove trovare le leggi di tale formazione e sviluppo? Le antichissime formazioni non ci son chiare alla prima. Ma questa società borghese, come nata di recente, e non giunta ancora a pieno sviluppo nemmeno in ogni parte di Europa, serba in sé le tracce embriogenetiche della sua origine e del suo processo, e le mette in piena evidenza nei paesi in cui sorge appena sotto ai nostri occhi, p. e., nel Giappone. Come società che trasforma tutti i prodotti del lavoro umano in merci, mediante il capitale, come società che suppone il proletariato, o lo crea, e che ha in sé l'inquietezza, la turbolenza, la instabilità delle continue innovazioni, essa è nata in tempi certi, con modi assegnabili e chiari, per quanto varii. Di fatti, nei diversi paesi ha modi differenti di sviluppo: dove, p. es., comincia prima che altrove, come in Italia., e poi si arresta; e dove, come in Inghilterra, procede costantemente per tre secoli di economica espropriazione delle precedenti forme di produzione, o della vecchia proprietà, come dicesi nella lingua dei giuristi.
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