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E lo Scarfoglio tiene a farci sapere che «per lui, la cui vita era di solito quella del seccatore del prossimo letterario - (ed è vero) - Gabriele «fu nel primo anno il maggiore diletto - (oh Grecia!) - di tutta la sua vita di buttero platonico.»
Le quali parole hanno bisogno di una chiosa. Vuol dire lo Scarfoglio che egli - che era stato sin là un grossolano - (buttero, infatti, vuol dire guardiano di cavalli o di pecore) - cui ogni selvaggina era stata buona, sin là, a cavargli l'appetito - in compagnia del giovinetto-fanciulla si sentì ingentilite tutte le passioni. Il che non è poco trattandosi dello Scarfoglio, e non è scarso titolo per la fanciulla-giovanetto di avere operato così grande miracolo.
E parla della sua non mai sentita prima d'allora «tendenza d'espansione all'aperto e di riavviamento alla santa selvaggia natura», cioè alla natura propria delle bestie, che all'aperto e senza soggezione compiono «santamente» le loro voglie; la quale natura egli, però, dice «lo trasse a scrivere e a stampare bruttissimi versi.» - Già! I versi saranno stati bruttissimi, ma le altre cose, invece.... Infatti, egli dice subito dopo:
«In lui (in Gabriele) era tanto spontaneo il senso della barbarie.... (intendasi: il senso della libera natura, come presso gli Elleni) e tanto - (attenti!) - era cotesto senso commisto a una nativa gentilezza di donna, che lo avreste detto....
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Mi perdonino i miei lettori se interrompo il bel periodo butterino; ma io debbo dir loro che ciò che a questo punto veniva sotto la penna del buttero Scarfoglio era una tal cosa che egli - per quanto amasse la selvaggia natura - non ebbe il coraggio di affidarlo alla carta, e però ripiegò sciorinando una suite di proposizioni degne di essere musicate.
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