L'Intermezzo di Rime è il passatempo di una femina, la quale - a riposarsi dalle fatiche di notturni voluttuosi piaceri - si pone a ricamare vesti e camiciuole per le bambole delle sue piccine che essa non ama.
Il poemetto «La tredicesima fatica d'Ercole» è semplicemente grottesco: è il passatempo d'uno scoglionato che improvvisamente si trova - grazie alle sue fattezze di fanciulla «innocua» e «insospettabile» - fra le gonne di femmine titolate e ben navigate nei segreti delle alcove, alle quali è giocoforza che egli si renda piacevole colle riverenze e le svenevolezze di un abatino settecentesco di sesso incerto. E da quelle sue svenevolezze uscirono, infagottati negli sgonfi della moda spagnolesca, l'Isotteo e la Chimera, che, rilegati in marrocchino rosso con fregi d'oro, sono - non c'è che dire - un grazioso ornamento per salotti signorili.
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Furono questi i preludî della missione effeminatrice di Gabriele, da lui iniziata sotto l'imperativo categorico della sua corporalità carnale votata unicamente al «Piacere».
E il Piacere - suo primo romanzo - può, deve, anzi, considerarsi come la prolusione al suo gran corso di letteratura pornografica per uso e consumo delle femine debosciate e degli uomini senza scroto.
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Ed ora mi si permetta ch'io rida, sino a tenermi i fianchi, di coloro i quali seriamente credono che il D'Annunzio siasi un giorno accorto della abiezione della sua sensualità animale e che abbia tentato di liberarsene.
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