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Come si vede, questa condizione, cioè l'aborrimento assoluto da tutto ciò che è volgo, è pel «superuomo nietzschiano» una conditio sine qua non. Ed è questo il punto che scava fra il Nietzsche e il D'Annunzio, fra il superuomo nietzschiano e il superuomo dannunziano un abisso incolmabile. Il Nietzsche fu e rimane il tipo più accentuato trai grandi idealisti martiri di una grande e bella utopia; in quella vece il D'Annunzio è un vanesio, un poseur, un istrione, un ciarlatano come tanti ce n'è stati, ce ne sono e ce ne saranno, il quale ha essenziale bisogno del volgo, e fa essenziale assegnamento sul volgo perchè senza il volgo egli sarebbe niente. Egli ha avuto ed ha, infatti, un solo scopo, quello di far danari, coûte que coûte. La réclame gigantesca di cui si è servito e si serve grida ai quattro venti che egli è uno speculatore commerciante, un lanciatore di Pillole Pink. - Il Nietzsche edificava i suoi libri lungo una via senza fine tutta in salita, come un alpinista che edifica un asilo sur ogni vetta che lo leva più in su; e attorno a lui vi aveva silenzio e solitudine. Attorno al Divo - in vece - c'è la gran piazza piena di volgo da lui convocato a suon di grancasse e di fanfare, al quale grida e fa gridare la sua «divinità». Egli è così diverso e lontano e al di sotto del Nietzsche come e quanto una grottesca parodia è diversa, lontana e al di sotto di una grande opera d'arte e di pensiero. Il Nietzsche è il solitario per eccellenza, come di ragione ha da essere un genio che escogita le ascose fonti dell'assoluta Bellezza; egli basta a sè stesso perchè realmente egli sente in sè quell'Umanità superiore che lo distacca per forza irresistibile, fatalmente, dalle moltitudini, delle quali, conseguentemente, disprezza l'applauso; tutta l'opera sua è un'opera di purificazione e di ascensione sino al limite estremo, di là dal quale c'è la follia e la morte.
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