- Panici - sotto questo rispetto - sono i poeti - (prosatori o rimatori) - che suscitano impressioni profonde e illusioni perfette colla virtù, che solo essi posseggono, di porre ogni cosa sotto l'angolo di luce che le è propria. Panici - in questo senso - sono tutti coloro le cui opere ingrandiscono ognora più col tempo perchè in esse l'umanità di ogni tempo si specchia e si vede e si riconosce una in ciò che in essa avvi di immutabile, di eterno. Panici perciò sono Omero, Eschilo, Dante, Shakspeare, V. Hugo ed altri pochi, che, col volgere del tempo, si rivelano ognora più compiuti e più veri e quindi più umani.
Ora, dare del panico al Gabrieluccio della Laus Vitae - la quale egli «modestamente» chiama la cosa più perfetta dopo la Divina Commedia, è un atto d'incoscienza solo possibile in questo tempo nostro in cui la stampa e la critica sono cadute in mano ai barbieri. - Il D'Annunzio è niente. La sua è una forma d'essere per eccellenza negativa: è l'impotenza. La sua qualità unica e propria è l'incapacità fisica, morale e intellettuale. Guardate! Egli è incapace di attività utile, come membro della società; incapace di affetti veri, come essere morale; incapace di produrre opere organiche, come scrittore; incapace di vivere una vita vera, come uomo; incapace di trovarsi in accordo col buonsenso e col senso comune, come essere dotato di ragione; incapace di sentire e di produrre la bellezza nella sua intima semplicità, come artista; incapace di esprimersi nella lingua della grande poesia accessibile a tutti, come si esprimono Omero, Shakspeare, V. Hugo; incapace di porsi davanti a sè e davanti agli altri nelle attitudini proprie dei grandi poeti conclamanti tutti i cuori semplici ed illibati a dissetarsi alle limpide fontane di verità, di bontà e di bellezza che sgorgano dalla loro anima, come fa il Manzoni; incapace - infine - di essere uomo nel più alto senso della parola, almeno una volta; - in quella vece, egli è insuperabile nel trucco istrionico, e come istrione, le sue voci e i suoi gesti sono gesti e voci d'imprestito, voci e gesti suggeriti dal «copione» - Ed egli è perciò provveduto di parrucche, di belletti e d'indumenti diversi che egli va mutando mano mano che - sfruttata una maschera - è costretto ad assumerne un'altra, per porre al riparo del fallimento la sua lucrosa industria.
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