Così accade - come ben dice Savino Varazzani - che i romanzi e i drammi del Divo «sono tutti lo stesso romanzo e lo stesso dramma. Egli non fa che ripetersi, ed è una ripetizione monotona, opprimente. Ed è, purtroppo una ripetizione senza rimedio perchè ha radice in una impotenza incurabile. E più cresce la mole della sua produzione e più si fa pesante e insopportabile la monotonia, perchè più s'inasprisce in lui l'ostinazione, la rabbia, lo spasimo di cavar nuovi effetti da una fantasia, la quale non ha che una visione unica, e di mutare e variare all'infinito soggetti e temi che pertinacemente finiscono per mescolarsi e fondersi in una tinta uniforme».
E intanto gli sciocchi - e in prima fila i critici-barbieri - esclamano: «Guardate l'infaticabile, l'inesauribile!» - Ma è una fecondità illusoria. «Quella del D'Annunzio - dice ancora il Varazzani - è una matrice perennemente in gestazione, che sembra maturi feti nuovi e non fa che ripartorire, per una mostruosità fisiologica, i suoi parti antichi. Imbevuto, impastato, saturato di voluttuosità, di lussuria, egli non esce mai dagli avvinghiamenti di questo suo temperamento: ogni visione, ogni vibrazione, ogni grido di lui scaturisce da quello e a quello ritorna. Tutto ciò che sembra diversificarsi e distacccarsi da quella nota fondamentale non è che orpello, roba posticcia, un'appiccatura, una decoratura artifiziosa: è un po' d'intonaco messo lì, ma che schizza via al primo grattare che vi facciate sopra colle unghie.»
LAUS VITAE
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