Uscito è dalle mie fornaci il solo Poema di vita totale, vera e propria rappresentazione di Anima e di Corpo, che sia apparso dopo la Commedia di Dante. Questo Poema si chiama: Laus Vitae.
G. D'ANNUNZIODunque, venti anni fa Gabriele, viaggiando in Grecia, concepì - (era quella la sua più grande concezione) - concepì la «santità della vita pagana», e volle che «dalla selva degli antichi miti» - morti, dico io, da più di due mila anni! - si diffondesse novellamente per la terra «un tesoro di aromi e di pollini.... (aromi e pollini cadaverici, dico io) fecondanti». - Infatti, qual cosa di più fecondante dei cadaveri? Seppellite delle carogne a piè d'un qualsiasi albero, e voi vedrete quest'albero farsi in breve rigoglioso e ricco di frutta. - E a sparger per la terra quegli aromi e quei pollini, il Divo ideò e scrisse la Laus Vitae, che, viceversa, è la Laus Mortis, cioè la Laude dei morti miti pagani.
Egli - il cantore di quelle bizantinerie, quando stupide e quando incomprensibili, che sono l'Isotteo e la Chimera, enormi ammassi di vuote parole faticosamente ripescate nei vecchi dizionarî - ha voluto - nientemeno! - con una sola apertura delle piccole esili gambe - passare dalla riva dei vivi alla riva dei morti, discoste l'una dall'altra la bagattella di venti secoli!
Intanto, dentro parentesi, chi potrebbe mai credere - se egli non cel dicesse - che nel suo corpo così piccino il Divo serra e custodisce diecimila anime?
«In ogni luogo, in ogni eventola mia anima visse
(e vive) come diecimila.
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